
«Io non ho mai letto niente di più profondo nella sua essenzialità di quello che ha scritto Luigi, in questi libri e nelle centinaia, anzi migliaia, dei suoi articoli.»
Dalla Postfazione di Riccardo Barenghi
Quattro prose autobiografiche di rara perfezione. «Dall’alto degli anni», Luigi Pintor si volta indietro per tentare un bilancio – sapendo che i conti non torneranno – e per «restituire alle cose una durata che di per sé non hanno». Ma il passato non si lascia governare dalla memoria, si concede solo in lampi di ricordo o in narrazioni che, sotto l’apparenza della finzione, dicono il vero – il dolore pulsante di un’intera esistenza. Le quattro prose autobiografiche, uscite tra il 1991 e il 2003 e qui ripubblicate a cento anni dalla nascita, non assomigliano a nulla che circoli oggi: custodiscono la loro unicità in una lingua nuda, che non concede ripari né attenuanti, pur velando con estremo pudore nomi, luoghi e date. L’unica forma di irriverenza, secca come un riso amaro, è rivolta all’io narrante – che parli in prima persona o mantenga la distanza di una maschera. La «fantasia illimitata» del male si è accanita sulla sua vita: gli affetti fulminati, la storia attraversata da combattente, e un’aspirazione giovanile – «diventare un idiota», nel senso greco del termine, cioè restare in disparte con innocenza – sistematicamente negata. Con un timbro inconfondibile, Pintor affida il racconto a una scrittura ritrosa, scarnificata, che diffida delle parole e delle loro lusinghe, e che sa spingersi sempre oltre i confini dell’innocenza e della speranza. Decine di migliaia di lettori hanno riconosciuto e amato questa conoscenza del dolore, grati a Pintor per non aver ceduto al silenzio cui pure aspirava.
Dalla Postfazione di Riccardo Barenghi
Quattro prose autobiografiche di rara perfezione. «Dall’alto degli anni», Luigi Pintor si volta indietro per tentare un bilancio – sapendo che i conti non torneranno – e per «restituire alle cose una durata che di per sé non hanno». Ma il passato non si lascia governare dalla memoria, si concede solo in lampi di ricordo o in narrazioni che, sotto l’apparenza della finzione, dicono il vero – il dolore pulsante di un’intera esistenza. Le quattro prose autobiografiche, uscite tra il 1991 e il 2003 e qui ripubblicate a cento anni dalla nascita, non assomigliano a nulla che circoli oggi: custodiscono la loro unicità in una lingua nuda, che non concede ripari né attenuanti, pur velando con estremo pudore nomi, luoghi e date. L’unica forma di irriverenza, secca come un riso amaro, è rivolta all’io narrante – che parli in prima persona o mantenga la distanza di una maschera. La «fantasia illimitata» del male si è accanita sulla sua vita: gli affetti fulminati, la storia attraversata da combattente, e un’aspirazione giovanile – «diventare un idiota», nel senso greco del termine, cioè restare in disparte con innocenza – sistematicamente negata. Con un timbro inconfondibile, Pintor affida il racconto a una scrittura ritrosa, scarnificata, che diffida delle parole e delle loro lusinghe, e che sa spingersi sempre oltre i confini dell’innocenza e della speranza. Decine di migliaia di lettori hanno riconosciuto e amato questa conoscenza del dolore, grati a Pintor per non aver ceduto al silenzio cui pure aspirava.
Dettagli libro
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Editore
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Testo originale
Sì -
Lingua
Italiano -
Lingua originale
Italiano -
Data di pubblicazione
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Numero di pagine
270 -
Autore della postfazione
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Argomento
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Collana
Sull'autore
Luigi Pintor
Luigi Pintor (1925-2003), nato a Roma, ma di origine sarda, lavorò all’«Unità» dal 1946 al 1965. Eletto deputato nelle liste del PCI, nel 1969 fu radiato dal partito con altri dissidenti e diede vita al «manifesto», il quotidiano comunista su cui scrisse dal 1971 fino alla morte. Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato Servabo. Memoria di fine secolo (1991), La signora Kirchgessner (1998), Il nespolo (2001) e I luoghi del delitto (2003), ora raccolti in La vita indocile (2013), oltre a Politicamente scorretto. Cronache di un quinquennio 1996-2001 (2001).