Le forme di vita contemporanee sono segnate dall’impotenza. Che sia in gioco un amore o la lotta contro il lavoro precario, una paralisi frenetica presidia l’azione e il discorso. Non si riesce a fare ciò che conviene e si desidera, e al contempo non si è in grado di subire in modo appropriato gli urti cui siamo sottoposti. Questa impotenza è tanto più sorprendente, in quanto si associa a una sovrabbondanza: di capacità, competenze, abilità. Lungi dall’essere causata da una mancanza, l’impotenza contemporanea sembra essere piuttosto il frutto di un eccesso di forza e possibilità che, non riuscendo a convertirsi in azioni e discorsi modellati con cura, non fa che stagnare e macerarsi.
Di questa strana impotenza Paolo Virno descrive qui la fisionomia, proseguendo le riflessioni iniziate nel suo libro precedente, Avere. Sulla natura dell’animale loquace, e recuperando le lezioni dei classici, su tutti Aristotele e Marx. Fondamentale diventa la riscoperta di una nozione cruciale: quella di «limite». Esprimersi, far valere un’istanza sul lavoro, rivendicare un’idea politica, tessere un’amicizia o un amore: tutto ciò richiede di saper scandire i tempi delle parole, calibrare i movimenti, incanalare i gesti. Altrimenti ci imbattiamo in un catalogo di passioni tristi: arroganza intrisa di avvilimento, timidezza sfrontata, rassegnazione carica di risentimento. E nei sintomi che ne seguono: rinuncia, silenzio, paralisi.
Collettiva e politica deve essere la ricerca di una prassi, di un habitus che consenta di sfuggire a questa impotenza: di un esercizio spirituale e politico che, promuovendo la rinuncia a rinunciare, ci consegni parole accorte e decisioni tempestive. Un gesto libero e condiviso in grado di trasformare il reale.
Di questa strana impotenza Paolo Virno descrive qui la fisionomia, proseguendo le riflessioni iniziate nel suo libro precedente, Avere. Sulla natura dell’animale loquace, e recuperando le lezioni dei classici, su tutti Aristotele e Marx. Fondamentale diventa la riscoperta di una nozione cruciale: quella di «limite». Esprimersi, far valere un’istanza sul lavoro, rivendicare un’idea politica, tessere un’amicizia o un amore: tutto ciò richiede di saper scandire i tempi delle parole, calibrare i movimenti, incanalare i gesti. Altrimenti ci imbattiamo in un catalogo di passioni tristi: arroganza intrisa di avvilimento, timidezza sfrontata, rassegnazione carica di risentimento. E nei sintomi che ne seguono: rinuncia, silenzio, paralisi.
Collettiva e politica deve essere la ricerca di una prassi, di un habitus che consenta di sfuggire a questa impotenza: di un esercizio spirituale e politico che, promuovendo la rinuncia a rinunciare, ci consegni parole accorte e decisioni tempestive. Un gesto libero e condiviso in grado di trasformare il reale.
Dettagli libro
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Editore
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Lingua
Italiano -
Lingua originale
Italiano -
Data di pubblicazione
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Numero di pagine
144 -
Argomento
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Collana
Sull'autore
Paolo Virno
Paolo Virno insegna Filosofia del linguaggio all’Università di Roma Tre. Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato: Il ricordo del presente. Saggio sul tempo storico (1999), Quando il verbo si fa carne. Linguaggio e natura umana (2003), Motto di spirito e azione innovativa. Per una logica del cambiamento (2005), E così via, all’infinito. Logica e antropologia (2010), Saggio sulla negazione. Per una antropologia linguistica (2013) e Avere. Sulla natura dell’animale loquace (2020).