Settecento sipari del cuore

Settecento sipari del cuore

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I grandi classici della poesia

A cura di Stefano Pellò



Chi ragiona non vuole annegare,

ha paura del gorgo;

chi ama non ha altro mestiere

che farsi inghiottire dal mare.

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Sull'autore

Jalâl al-Din Rumi

Jalâl al-Din Mohammad, figlio di Mo’mena Khâtun e Bahâ al-Din Valad, nacque nel 1207 (604 dell’Egira) in Asia Centrale (a Balkh secondo la vulgata più diffusa; a Vakhsh, nell’odierno Tajikistan, secondo i meglio informati) e morì nel 1273 (672 dell’Egira) in Asia Minore, a Konya – o Iconio, nella veste greca originaria. In questa città, allora capitale selgiuchide, trascorse gran parte della sua vita. Discendente di una famiglia colta e vicina agli ambienti sufi del Khorasan, il giovane centrasiatico, che studiò anche in Siria e fu discepolo di Burhân al-Din Mohaqqeq Termezi, divenne ben presto un venerato maestro nella città anatolica, ancora in gran parte grecofona e cristiana. Vissuto in un ambiente multireligioso e poliglotta, dove coesistevano e interagivano fra loro greco, turco, persiano e arabo, Rumi compose nel nativo persiano – medium cosmopolita per eccellenza – le sue due opere principali: la grande raccolta diodi nota come Divân-e Shams-e Tabrizi o Divân-e kabir («Canzoniere di Shams di Tabriz» o «Grande canzoniere», che contiene più di cinquemila componimenti) e il lungo poema in distici rimati noto come Masnavi-yema‘navi («Poema interiore», di circa ventiseimila versi). Entrambi i testi, e in modo particolarmente evidente il Divân, sono colorati – poeticamente e concettualmente – dall’incontro fondamentale della vita del poeta: quello con il derviscio itinerante e pensatore iconoclasta Shamsal-Din Tabrizi (o Shams-e Tabriz, il «Sole di Tabriz»), suo mentore spirituale e ipostasi dell’oggetto mistico d’amore e di ricerca, apparso nella vita del poeta nel 1244 e scomparso in circostanze misteriose nel 1247.

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